LA NOSTRA STORIA

Siamo una rete di contadine e contadini di generazioni diverse, sparsi nella campagna Toscana che lavorano in prima persona nei loro poderi, coltivando e allevando animali per il proprio fabbisogno alimentare e per ricavare un reddito di sussistenza. Fanno parte di questa rete anche piccole realtà artigiane e non solo che contribuiscono in maniera preziosa ad alimentare una cultura di pace e di rispetto per l’ambiente.
Questo perché sappiamo come ogni forma di gioco, di arte e di cultura sia frutto e allo stesso tempo nutrimento della comunità.
Ci sono varie differenze tra le nostre realtà agricole, sia come dimensioni che come strutturazione del lavoro, ma alcuni punti forti ci accomunano.
Innanzi tutto pratichiamo un’agricoltura naturale, il più possibile in armonia con i ritmi e gli equilibri ambientali della bioregione in cui viviamo. Cercando di riscoprire e arricchire una certa tradizione contadina secondo la quale l’uomo non è un elemento estraneo all’ambiente che lo circonda il cui unico obbiettivo sia quello di “estrarre” risorse da esso, ma bensì ne è parte integrante e attraverso la coscienza, l’osservazione, la pratica e l’esperienza ne trae sostentamento senza impoverirlo, anzi arricchendolo dal punto di vista paesaggistico.
Non intendiamo l’agricoltura come una pratica di fredda manipolazione del vivente, ne’ tantomeno come una guerra di sterminio contro tutto ciò che può compromettere il raccolto. Deprechiamo quindi l’utilizzo di organismi geneticamente modificati, insetticidi, antibiotici, diserbanti, pesticidi di ogni genere. Pratichiamo invece tecniche vecchie e nuove di controllo e di difesa dai parassiti e dalle infestanti come l’alternanza delle colture, le consociazioni, le pacciamature, le false semine, i macerati naturali, i preparati biodinamici, il rame, lo zolfo, la zappa ecc.
Anche per quanto riguarda la fertilità dei suoli, non immettiamo sostanze chimiche derivanti dall’industria nei nostri terreni, ma utilizziamo concimazioni naturali e pratiche di lavorazione mirate a conservare ed arricchire lo strato fertile.
Anche se tendiamo ad avere una o due colture prevalenti e da reddito, non
pratichiamo la monocoltura perché sappiamo che è nella diversità che sta la principale risorsa della natura per evolvere e avvolte per sopravvivere.
La nostra agricoltura è caratterizzata da un basso livello di meccanizzazione.
Privilegiamo macchine di piccole dimensioni, facilmente utilizzabili e riparabili, non indispensabili e, quando è possibile, di proprietà collettiva. Mentre il modello agricolo attuale prevede macchine sempre più grandi, complesse e costose, il cui utilizzo stravolge il paesaggio, standardizza ogni coltura e, insieme all’utilizzo della chimica, desertifica i suoli e la presenza umana nelle campagne, dato che un solo operaio su una grossa macchina agricola sostituisce tecnicamente il lavoro di decine di contadini sul campo.
Non crediamo nel sistema assistenzialista dei contributi e finanziamenti all’agricoltura che, con l’apparente scopo di sostenere i contadini, spesso li porta all’indebitamento (magari per l’acquisto di un grosso trattore) stravolgendone gli obbiettivi e le pratiche e trasformandoli lentamente in coltivatori di contributi regionali, ministeriali, comunitari… Sistema questo che invece ha come risultato reale quello di dirottare fondi pubblici verso i soliti noti:
Le banche. I contributi passano sempre da fidejussione bancaria;
L’industria. I contributi spesso sono finalizzati all’acquisto di macchinari nuovi che devono essere rinnovati frequentemente per adeguarsi alle normative in continuo aggiornamento.
Il latifondo. I contributi europei finanziano la quantità di terra coltivata senza
preoccuparsi di come, perché e per chi.
Crediamo invece che un forte aiuto alle realtà contadine che ancora resistono debba essere quello di liberarle da tutti quei vincoli, lacci e catene che con il pretesto di varie sicurezze e salvaguardie, spesso tutte sulla carta, le rendono ostaggio di numerosi apparati burocratici,condannandole a costi insostenibili, a pratiche molto discutibili o peggio ancora a dover scegliere se abbandonare la propria attività o entrare in una condizione di “clandestinità contadina”.

Nasciamo nel giugno 2017 per sperimentare  insieme, attraverso il percorso assembleare e i nostri mercati, un modello comunitario ed economicamente volto a ridurre le distanze imposte dalle filiere di distribuzione, tra produttore-consumatore e per valorizzare le relazioni sociali, le autoproduzioni e diffondere pratiche nuove, sociali e culturali.

Il rispetto e l’affidabilità sono uno dei cardini del nostro percorso che, grazie allo scambio e alle relazioni quotidiane ha, tra gli altri l’obbiettivo di svincolare il produttore/la produttrice dalle speculazioni dell’agro-business, restituendogli/le la responsabilità del proprio lavoro: attraverso il prezzo sorgente e il ruolo attivo del/ della coproduttore/trice.

Le nostre autoproduzioni, infatti, sono innanzitutto il frutto di un rapporto di fiducia tra chi produce echi acquista, proprio grazie alla mancanza di mediazione con terzisti: chi produce è anche colui/colei che vende ai mercati, all’interno dei quali troverete sempre la tracciabilità di ciò che presentiamo sui banchi.

Il nostro nome nasce per ricordare e denunciare la morte di Jerome Laronze, allevatore che è stato ucciso il 20 maggio 2017 dai gendarmi a causa dell’ingiusto sistema normativo che tenta di eliminare i/le piccoli/e contadini/e.